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Bisogna arrivare agli anni ’90, e quindi alla storia recente, perché nella città di Bologna si torni a parlare di terme dopo duemila anni di terme bolognesi.
Negli anni ’90 il prof. Antonio Monti, medico e imprenditore, è docente di anatomia umana all’Università di Pavia e, da una conversazione con il prof. Mario De Bernardi, medico idrologo dell’istituto, apprende quasi per caso che anche Bologna era in tempi antichi una città termale. In quel momento la nozione era davvero nota a pochi e la notizia arriva a Monti come una novità. Così egli, nei viaggi da e per Bologna, riflette su questo patrimonio ancora presente nel sottosuolo della città, che non aspetta altro che qualcuno in grado di svelarlo. Guidando in auto passa spesso di fronte a un cartello che indica le Terme Euganee, e si chiede: perché non dovrebbero esistere delle “terme felsinee”?
Si può credere, un po’ ingenuamente, che per aprire un centro termale basti aprire un rubinetto. Non è così semplice, anzi: per aprire uno stabilimento che possa ambire al titolo di “terme” occorre un lungo iter burocratico composto da cinque passaggi. Il primo è un permesso regionale di ricerca delle sorgenti acquifere. Il secondo è un controllo per un anno intero (nell’arco delle 4 stagioni), da parte dell’ARPA e dell’AUSL, per capire se le sorgenti sono stabili e autonome o se dipendono dall’acqua piovana. Il terzo passaggio è uno studio da parte di un’Università sulle proprietà terapeutiche dell’acqua termale reperita. Il quarto è un esame del Ministero della Salute e del Consiglio Superiore della Sanità sulle proprietà fin qui documentate. Il quinto e ultimo passaggio è un’autorizzazione della Regione per l’utilizzazione della miniera acquifera. La somma di questi passaggi di certificazione comporta dai 4 ai 6 anni di tempo.
Il gruppo Monti dà il via a uno studio idrogeologico, perforando le acque di un terreno in zona Saragozza tradizionalmente chiamato “Pozzo del Diavolo”, probabilmente per via delle acque ricche di zolfo. L’acqua solforosa zampilla già a poca profondità, ma l’esultanza è breve: una volta analizzate, le acque si dimostrano inquinate da nitrati, probabilmente dovuti all’uso agricolo. Il bacino è di facile pesca, ma inutilizzabile per la salute.
Si prova allora un ulteriore scavo più vicino alla collina. L’estrazione non porta in superficie niente di utile ma si insiste e, con un notevole rischio d’impresa, si scende a grande profondità. La fortuna arride agli scavatori: lo zampillo di acqua termale esce d’un colpo. E si sente: la puzza di zolfo appesta la zona Barca, tanto che i residenti delle case circostanti si lamentano del cattivo odore.
Il vecchio cinema “Alexander” viene riconvertito a centro termale, alimentato da due fonti: la “San Luca” con acqua solforosa e la “Alexander”, appunto in memoria dello stabilimento precedente, di natura bicarbonato-solfato-calcica. È così che dal 1995 prendono ufficialmente il via le Terme Felsinee.
Che acqua termale c’è a Bologna? La fonte Alexander pesca a ben 140 metri di profondità, la San Luca addirittura a 160. L’età di queste acque è rispettivamente di 40 e 60 anni; è lungo tale periodo che l’acqua si mineralizza e acquisisce le sue proprietà. La qualifica di “acqua termale” non riguarda insomma la temperatura di uscita (che infatti può anche essere fredda), ma la composizione chimica, che deve presentare oligoelementi con una funzione terapeutica riconosciuta. Per esempio il calcio è indispensabile per la salute delle ossa e per il corretto sviluppo muscolare. Secondo uno studio del prof. Olive dell’Università della Sorbona, le acque termali di Bologna potrebbe provenire originariamente dall’area della Maremma.
Le cosiddette “terme di III generazione”, di cui le Terme Felsinee saranno le capofila, presentano una visione del termalismo legata alla fisiologia umana e ai cinque principi terapeutici termali (idrostatico, idrodinamico, idrochimico, idrotermico e idrocinetico). Lo stabilimento eroga così tre tipologie di cure termali: riabilitazione in piscina termale, che non solo è più piacevole di quella “a secco”, ma beneficia anche dell’aumentata irrorazione sanguigna dovuta al calore delle acque termali; percorsi “medical fitness” contro il dolore, lo stress, l’adiposità e l’obesità; cure termali classiche come inalazioni e aerosol. Siccome poi l’idea di benessere termale non è quella della semplice assenza di malattia, ma di un vero e proprio stile di vita attivo legato alla prevenzione, fanno da contraltare a queste tre terapie altrettante proposte di salute attiva: bagni termali contro lo stress che genera il cortisolo (che può portare a patologie come iperglicemia e diabete), corsi di acquagym e acquawellness per la remise en forme, e acquatraining per il mantenimento.
Nell’idea del prof. Monti di riscoprire le terme a Bologna deve aver giocato, subliminalmente, qualche ricordo d’infanzia. Egli è infatti originario di Monterenzio, frazione di Rignano, lungo la Val Sillaro. Tra i fenomeni idrogeologici del posto v’era un vulcanetto chiamato “dragone” (probabilmente per via degli sbuffi mefitici che ne provenivano, sufficienti a far sì che il pensiero popolare vi attribuisse un’origine maligna): lo stesso Monti ricorda che il “dragone” nel 1948 eruppe in modo talmente violento che schizzò di fango i panni stesi a Rignano, causando l’ira delle comari in tempi in cui non c’era la lavatrice.
Nella stessa zona c’era anche una fonte, detta “degli ubriachi”, perché essendo particolarmente mineralizzata era usata tradizionalmente da chi alzava un po’ troppo il gomito per farsi passare la sbornia. Insomma, anche le colline di Monterenzio erano ricche di acque termali.
Nei poderi che gli diedero i natali, il prof. Monti aveva già creato negli anni un agriturismo: il Villaggio della Salute Più. Si tratta di uno fra i più grandi agriturismi in regione con un’estensione di 17 poderi, certificato biologico dal 1998 (oggi quasi una moda, all’epoca un coraggioso azzardo) e UNI-ISO 14001 dal 1999 per la “conservazione dell’ambiente e della biodiversità a tutela del benessere”. Il Villaggio sorge oltretutto ai margini di un territorio a protezione ambientale dell’Unione Europea per la biodiversità e la nidificazione (Sito di Interesse Comunitario – SIC IT4050011). Fu pure tra le prime strutture in Italia a proporre la formula del cosiddetto “albergo diffuso” fra diversi casali storici, ben prima che il termine prendesse piede nell’immaginario turistico.
Dopo il 2000 il gruppo Monti fece eseguire ricerche anche nel territorio del Villaggio della Salute Più, rilevando ben tre fonti di acqua termale: quella solfato-calcica andrà ad alimentare il nuovo stabilimento delle Terme dell’Agriturismo, ospitato all’interno del Villaggio, e un grande acquapark estivo. Le altre due fonti servono invece la vicina Oasi di Zello, un vero e proprio “ecopark” nel cuore di una natura incontaminata. Negli anni le terme e l’agriturismo del Villaggio si integrano sempre di più, diventando un polo turistico-sanitario che propone di effettuare vacanze con finalità terapeutiche in un contesto salutare.
Negli anni successivi il gruppo Monti amplia fino a cinque il circuito delle terme bolognesi contemporanee.
In Via Agucchi a Bologna la storica palestra Pluricenter (primo “tempio del fitness” in città) apre le porte alle acqua termali (fonte Alexander 2, così chiamata perché pesca dallo stesso bacino delle Terme Felsinee) e dal 2011 diventa lo stabilimento Terme San Luca.
Nello stesso anno in Via Irnerio, negli spazi del complesso sanitario Antalgik, l’acqua termale bicarbonato-solfato-calcica delle Terme Felsinee arriva per via diretta, attraverso la realizzazione di un’ingente opera idraulica di 5 Km posata anche grazie alla collaborazione del Consorzio della Chiusa di Casalecchio e del Canale di Reno. La condotta passa nel tracciato degli antichi canali della seta della città rinascimentale e, metaforicamente, segna la riscoperta del passato di “Bologna città delle acque” (termali e non solo). Nascono così le Terme San Petronio, le uniche in Italia nel pieno centro storico di una grande città.
Le ultime nate sono le Terme Acquabios a Minerbio (BO), che dal 2013 arricchiscono la “bassa” con una fonte termale bicarbonato-alcalina-solfurea dal caratteristico colore giallastro.
Da qui in poi la storia delle acque termali a Bologna città metropolitana diventa attualità. Una storia che procede, a beneficio dell’offerta sanitaria, turistica e culturale dell’intero territorio.
Tratto dal volume di Angelo Rambaldi "Bologna Città delle terme"